In apertura della seduta di ottobre del consiglio comunale di Correggio – svolta in videoconferenza – il sindaco di Correggio, Ilenia Malavasi, ha ricordato la figura di Germano Nicolini, scomparso domenica 25 ottobre 2020.
Domenica 25 ottobre è stato uno di quei giorni che non avrei mai voluto che arrivasse. Anche se, come tutti, ero preparata a doverlo salutare, prima o poi, la notizia della morte di Germano Nicolini mi ha improvvisamente messa davanti alla consapevolezza che, comunque, non avrei trovato le parole giuste per dirgli addio. E infatti è così, anche oggi, in questa assemblea, in questo consiglio comunale e in questo Municipio, di cui è stato, troppo brevemente, alla guida.
La vicenda, umana, personale e politica di Germano è molto nota, soprattutto a Correggio.
Nato a Fabbrico il 26 novembre del 1919, da una famiglia numerosa, conseguì un diploma in ragioneria, iscrivendosi quindi all’Università Bocconi di Milano e, durante la seconda guerra mondiale, divenne ufficiale del Terzo Reggimento carri. Fatto prigioniero l’8 settembre 1943 dai tedeschi nei pressi di Tivoli, riuscì a fuggire e a tornare a casa, aderendo immediatamente alla Resistenza e diventando comandante del terzo battaglione della 77ª Brigata SAP “Fratelli Manfredi”. Durante questo periodo acquisì i soprannomi di “Demos”, poi “Giorgio” e infine “Diavolo”, datogli, come ha raccontato più volte lui stesso, per una fuga rocambolesca dai tedeschi. Ha partecipato a tredici scontri a fuoco e a due battaglie in campo aperto, quelle di Fabbrico e di Fosdondo, riportando due ferite. Dopo la liberazione venne nominato comandante della piazza di Correggio, quindi ufficiale addetto ai rapporti tra il governatorato e le amministrazioni comunali della bassa reggiana dal governatore americano Adam Jannette. Qui si distinse anche per l’equilibrio e la difesa di prigionieri fascisti, evitando in più occasioni – come testimoniarono diversi di loro – tentativi di giustizia sommaria.
Alle elezioni amministrative del marzo 1946 fu eletto nel Consiglio comunale di Correggio con la lista del Partito Comunista Italiano: a fine dicembre dello stesso anno, dopo le dimissioni del Sindaco Arrigo Guerrieri, divenne primo cittadino, ricevendo anche i voti di tre consiglieri dell’opposizione. Nel 1947 venne accusato ingiustamente dell’omicidio di don Umberto Pessina e fu condannato a 22 anni di carcere. Il processo di Perugia nel 1947 venne condotto a senso unico con omissione, sottrazione e falsità in atti d’ufficio, false testimonianze, testimonianze palesemente contraddittorie e inattendibili, pressioni e interferenze esterne, come fu appurato nel processo di revisione, avvenuto solo nel 1994.
Tra le sue Onorificenze, che gli sono state tutte restituite, con le scuse da parte dello Stato per gli errori commessi, la Medaglia d’argento al valore militare, oltre alle due di cui sappiamo che andava particolarmente fiero: quella a Cavaliere della Repubblica Italiana, conferitagli proprio nei primi giorni di ottobre dal presidente Sergio Matterella, di cui aveva una stima infinita, e la Benemerenza della Città di Correggio, appuntata, insieme alle altre, al vestito con cui è stato sepolto. Al momento della consegna della Medaglia d’argento al valor militare, gli sono stati anche restituiti i gradi di Capitano dell’Eservito, che gli erano stati tolti.
In tutti questi anni, poter parlare con Germano, ascoltarlo, guardare la luce nei suoi occhi, è sempre stato per me un grande privilegio, per l’esempio di umanità, integrità, coerenza e fedeltà agli ideali che lo hanno sempre guidato, nei giorni della Resistenza, negli anni dell’ingiustizia e nel tempo della libertà ritrovata.
Lo ricordo con le sue stesse parole, che danno, una volta in più, la misura della sua umanità: “Io sono una persona del popolo molto modesta, che ha fatto solo il suo dovere di italiano. Ho avuto il modo di cantare quando ero in carcere ricordando coloro che mi davano la forza di resistere, perché sapevo di essere un partigiano pulito e onesto, che meritava il rispetto del Paese e non la carcerazione. La forza di resistere mi è venuta dal fatto che mi sentivo sempre l’uomo partigiano che combatteva per una causa giusta che non era terminata il 25 aprile, perché noi abbiamo combattuto per un’Italia diversa”.
Germano Nicolini è stato un uomo straordinario, con cui la vita non è stata sempre gentile – e penso anche al dolore per la perdita della moglie Viarda e dell’amatissima figlia Riccarda – ma che lui ha sempre saputo affrontare con fierezza, coraggio e dignità.
Sento il peso, anche personale, di non aver potuto nemmeno dargli l’addio con gli onori che avrebbe meritato, a causa di questa pandemia che lui stesso definiva “come la guerra”. Lunedì se ne è andato così, in un silenzio surreale, nella sua piazza, accompagnato dal rintocco della campana della Torre Civica, davanti al “suo” Municipio, verso il quale ha sempre portato profondo rispetto. In quel momento ho cercato di portargli l’affetto e la stima di tutta la città.
Ringrazio tutti i famigliari, in particolare Fausto, con il quale negli ultimi mesi mi sono trovata a dover affrontare, ognuno nei rispettivi ruoli, la minaccia portata dal coronavirus e del quale ho potuto personalmente ammirare gran parte di quelle stesse qualità che erano di Germano, per la sensibilità e l’umanità che hanno sempre dimostrato nei miei confronti e nei confronti di tutta la città, anche nel momento stesso del dolore di fronte alla morte.
L’eredità che Germano ci lascia deve spronare tutti noi, ogni giorno, a lavorare per difendere quei valori per cui lui ha lottato tutta la vita. Gli siamo immensamente grati e riconoscenti, tutti noi, per averci concesso di vivere in un paese libero e democratico.
Mi prendo l’impegno, quando ci saranno le condizioni, per tributargli tutti gli onori con un’iniziativa fatta in sua memoria, che possa raccogliere la partecipazione di quanti lo hanno conosciuto e gli hanno voluto bene e di quanti desiderano dargli un ultimo saluto.
Addio Comandante Diavolo, ciao Germano: adesso fai buon viaggio e dopo riposati, almeno per un po’.
In apertura della seduta di ottobre del consiglio comunale di Correggio – svolta in videoconferenza – il sindaco di Correggio, Ilenia Malavasi, ha ricordato la figura di Germano Nicolini, scomparso domenica 25 ottobre 2020.
Domenica 25 ottobre è stato uno di quei giorni che non avrei mai voluto che arrivasse. Anche se, come tutti, ero preparata a doverlo salutare, prima o poi, la notizia della morte di Germano Nicolini mi ha improvvisamente messa davanti alla consapevolezza che, comunque, non avrei trovato le parole giuste per dirgli addio. E infatti è così, anche oggi, in questa assemblea, in questo consiglio comunale e in questo Municipio, di cui è stato, troppo brevemente, alla guida.
La vicenda, umana, personale e politica di Germano è molto nota, soprattutto a Correggio.
Nato a Fabbrico il 26 novembre del 1919, da una famiglia numerosa, conseguì un diploma in ragioneria, iscrivendosi quindi all’Università Bocconi di Milano e, durante la seconda guerra mondiale, divenne ufficiale del Terzo Reggimento carri. Fatto prigioniero l’8 settembre 1943 dai tedeschi nei pressi di Tivoli, riuscì a fuggire e a tornare a casa, aderendo immediatamente alla Resistenza e diventando comandante del terzo battaglione della 77ª Brigata SAP “Fratelli Manfredi”. Durante questo periodo acquisì i soprannomi di “Demos”, poi “Giorgio” e infine “Diavolo”, datogli, come ha raccontato più volte lui stesso, per una fuga rocambolesca dai tedeschi. Ha partecipato a tredici scontri a fuoco e a due battaglie in campo aperto, quelle di Fabbrico e di Fosdondo, riportando due ferite. Dopo la liberazione venne nominato comandante della piazza di Correggio, quindi ufficiale addetto ai rapporti tra il governatorato e le amministrazioni comunali della bassa reggiana dal governatore americano Adam Jannette. Qui si distinse anche per l’equilibrio e la difesa di prigionieri fascisti, evitando in più occasioni – come testimoniarono diversi di loro – tentativi di giustizia sommaria.
Alle elezioni amministrative del marzo 1946 fu eletto nel Consiglio comunale di Correggio con la lista del Partito Comunista Italiano: a fine dicembre dello stesso anno, dopo le dimissioni del Sindaco Arrigo Guerrieri, divenne primo cittadino, ricevendo anche i voti di tre consiglieri dell’opposizione. Nel 1947 venne accusato ingiustamente dell’omicidio di don Umberto Pessina e fu condannato a 22 anni di carcere. Il processo di Perugia nel 1947 venne condotto a senso unico con omissione, sottrazione e falsità in atti d’ufficio, false testimonianze, testimonianze palesemente contraddittorie e inattendibili, pressioni e interferenze esterne, come fu appurato nel processo di revisione, avvenuto solo nel 1994.
Tra le sue Onorificenze, che gli sono state tutte restituite, con le scuse da parte dello Stato per gli errori commessi, la Medaglia d’argento al valore militare, oltre alle due di cui sappiamo che andava particolarmente fiero: quella a Cavaliere della Repubblica Italiana, conferitagli proprio nei primi giorni di ottobre dal presidente Sergio Matterella, di cui aveva una stima infinita, e la Benemerenza della Città di Correggio, appuntata, insieme alle altre, al vestito con cui è stato sepolto. Al momento della consegna della Medaglia d’argento al valor militare, gli sono stati anche restituiti i gradi di Capitano dell’Eservito, che gli erano stati tolti.
In tutti questi anni, poter parlare con Germano, ascoltarlo, guardare la luce nei suoi occhi, è sempre stato per me un grande privilegio, per l’esempio di umanità, integrità, coerenza e fedeltà agli ideali che lo hanno sempre guidato, nei giorni della Resistenza, negli anni dell’ingiustizia e nel tempo della libertà ritrovata.
Lo ricordo con le sue stesse parole, che danno, una volta in più, la misura della sua umanità: “Io sono una persona del popolo molto modesta, che ha fatto solo il suo dovere di italiano. Ho avuto il modo di cantare quando ero in carcere ricordando coloro che mi davano la forza di resistere, perché sapevo di essere un partigiano pulito e onesto, che meritava il rispetto del Paese e non la carcerazione. La forza di resistere mi è venuta dal fatto che mi sentivo sempre l’uomo partigiano che combatteva per una causa giusta che non era terminata il 25 aprile, perché noi abbiamo combattuto per un’Italia diversa”.
Germano Nicolini è stato un uomo straordinario, con cui la vita non è stata sempre gentile – e penso anche al dolore per la perdita della moglie Viarda e dell’amatissima figlia Riccarda – ma che lui ha sempre saputo affrontare con fierezza, coraggio e dignità.
Sento il peso, anche personale, di non aver potuto nemmeno dargli l’addio con gli onori che avrebbe meritato, a causa di questa pandemia che lui stesso definiva “come la guerra”. Lunedì se ne è andato così, in un silenzio surreale, nella sua piazza, accompagnato dal rintocco della campana della Torre Civica, davanti al “suo” Municipio, verso il quale ha sempre portato profondo rispetto. In quel momento ho cercato di portargli l’affetto e la stima di tutta la città.
Ringrazio tutti i famigliari, in particolare Fausto, con il quale negli ultimi mesi mi sono trovata a dover affrontare, ognuno nei rispettivi ruoli, la minaccia portata dal coronavirus e del quale ho potuto personalmente ammirare gran parte di quelle stesse qualità che erano di Germano, per la sensibilità e l’umanità che hanno sempre dimostrato nei miei confronti e nei confronti di tutta la città, anche nel momento stesso del dolore di fronte alla morte.
L’eredità che Germano ci lascia deve spronare tutti noi, ogni giorno, a lavorare per difendere quei valori per cui lui ha lottato tutta la vita. Gli siamo immensamente grati e riconoscenti, tutti noi, per averci concesso di vivere in un paese libero e democratico.
Mi prendo l’impegno, quando ci saranno le condizioni, per tributargli tutti gli onori con un’iniziativa fatta in sua memoria, che possa raccogliere la partecipazione di quanti lo hanno conosciuto e gli hanno voluto bene e di quanti desiderano dargli un ultimo saluto.
Addio Comandante Diavolo, ciao Germano: adesso fai buon viaggio e dopo riposati, almeno per un po’.