Antonio Allegri

 

VITA E OPERE

Di tutti i grandi protagonisti del suo secolo, Correggio è certamente l’artista in assoluto meno documentato, il più sfuggente agli occhi degli storici e della critica. Questo portò quindi all’affermarsi di non poche leggende sulla sua vita e sul suo percorso artistico. Valga per tutti quanto narra Giorgio Vasari, il primo biografo, circa la sua morte che sarebbe avvenuta nel paese natale dopo un estenuante viaggio a piedi da Parma sotto il peso di un enorme sacco di piccole monete da un quattrino (per un totale di 60 scudi). Una leggenda che non regge all’analisi dei fatti e delle fonti, certo, ma che rende alla perfezione le incertezze e le difficoltà che da sempre si oppongono ad una ricostruzione puntuale e completa della biografia dell’artista. Antonio Allegri nasce a Correggio da Pellegrino e Bernardina Piazzoli degli Ormani nella seconda metà del Quattrocento, probabilmente nel 1489. Pochissimo si conosce e si può dire della sua formazione. Tradizionalmente si insiste su un suo alunnato presso pittori locali (lo zio Lorenzo e il cugino Quirino Allegri, Antonio Bartolotti). Nella vicina Mantova è attivo fino al 1506 l’anziano Andrea Mantegna, le cui opere rappresentano un punto di riferimento importante per il giovane Correggio che, peraltro, è in rapporti economici con il figlio di Mantegna, Francesco, ancora nel 1512. Di certo Correggio assimila i caratteri della pittura mantegnesca, cui rende omaggio in alcune sue opere giovanili, partecipando altresì alla prima diffusione di un più dolce stile raffaellesco, innestando con grande intelligenza suggestioni leonardesche, specie nell’uso dello sfumato (quindi dai contorni spesso volutamente indefiniti e sfumati). E’ anche partecipe, nel segno di una grandissima apertura culturale, dell’esperienza dei veneziani e dei ferraresi (Cima da Conegliano, Costa, Dossi) e degli artisti nordici (Dürer, Altdorfer). Di questa fase giovanile sono testimonianza, tre le altre, un capolavoro come la Natività di Brera e la Madonna di San Francesco, già nella chiesa di San Francesco a Correggio e oggi a Dresda, commissionatagli nel 1514. Entro la fine degli anni dieci del Cinquecento gli studiosi sono concordi nel datare un viaggio a Roma del Correggio, ritenuto fondamentale per assimilare direttamente i modelli antichi e le straordinarie novità di Raffaello e del giovane Michelangelo. Purtroppo, anche questa volta, i riscontri documentari sono del tutto assenti. Fino agli anni Venti è autore di dipinti di piccole dimensioni, destinati per lo più alla devozione privata, ad eccezione di una perduta pala della Madonna di Albinea e di un Riposo durante la fuga in Egitto con san Francesco, che chiude il primo periodo della sua carriera. A quel tempo l’artista risiede ancora nella cittadina natale, un centro per nulla secondario nella vita culturale del tempo, dove la corte di Veronica Gambara (amica di poeti quali Aretino, Ariosto, Dolce, Bembo e lei stessa finissima poetessa), aveva assicurato alla piccola contea un prestigio che andava ben oltre i confini locali. Il secondo periodo si apre nel 1520 nel segno di un’opera di elevata raffinatezza stilistica, ma enigmatica e il cui retroterra culturale è sofisticato ed elitario: il Ritratto di gentildonna (variamente identificata in Veronica Gambara o Ginevra Rangone) firmato con la colta latinizzazione del suo nome: Anton(ius) Laet(us). In quello stesso 1520 matura una delle più alte e complesse realizzazione. Chiamato a Parma dalla badessa del Monastero benedettino femminile di San Paolo, Giovanna Piacenza, vi realizza la decorazione di una piccola sala da pranzo nota come la Camera di San Paolo: la riflessione sui modelli antichi, che solo un suo soggiorno romano può spiegare, è qui evidentissima, come pure il raffinato ambiente culturale della committenza intorno a cui gravita. Nonostante numerose proposte interpretative, ancor oggi i reali significati dell’affresco rimangono nascosti e irrisolti: uno dei più affascinanti misteri iconografici del primo Cinquecento. Sposatosi con Giovanna Merlini (da cui nel 1521 ha il primogenito Pomponio, cui sarebbero seguite tra il 1524 e il 1527 Francesca Letizia, Caterina Lucrezia e Anna Geria), si trasferisce entro il 1524 a Parma dove riceve la prima grande commissione pubblica di grande impegno: gli affreschi della chiesa di San Giovanni Evangelista, realizzati tra i1520 e il 1524, fortemente caratterizzati dall’innovativo impianto prospettico. La decorazione della cupola di San Giovanni sancisce, con tutta probabilità, l’affermazione della fama di Correggio, che da questo momento comincia a ricevere importanti commissioni, quali la Natività (meglio conosciuta come la Notte, 1522), la Madonna di San Sebastiano (1524 ca.), la Madonna del latte (1524 ca.), le due tele del Compianto su Cristo morto e il Martirio di quattro santi per la Cappella Del Bono nella chiesa di San Giovanni in Parma (ambedue 1524-25), l’Orazione nell’orto (1524-25), l’ Ecce Homo (1526-27), la Madonna di san Girolamo (nota come Il Giorno, 1526-28), la Madonna della scodella (1528-30), e la Madonna di San Giorgio, eseguita entro il 1530 e ultima pala a soggetto sacro da lui dipinta. Nell’arco degli anni che vanno dal 1522 al 1530 Correggio realizza la sua opera più monumentale e rivoluzionaria: gli affreschi della cupola del Duomo di Parma, il capolavoro cui sarà affidata la grande fortuna barocca e non solo del pittore. L’Allegri fu un maestro affermato e riconosciuto anche al suo tempo, apprezzato dalle corti padane, non è un caso, quindi, che proprio nelle collezioni Gonzaga si trovassero Venere con Mercurio e Cupido (L’Educazione di Amore) e Venere e Cupido con un satiro (ambedue 1527-28), poi acquistate da Carlo I d’Inghilterra nel 1628. Né che proprio Isabella d’Este, marchesa di Mantova, abbia commissionato a Correggio le due opere che avrebbero completato la decorazione del suo studiolo nel Palazzo Ducale di Mantova, certamente l’ambiente a lei più a cuore e più caro. Eseguiti verso il 1531, l’Allegoria del Vizio e l’Allegoria della Virtù, rappresentano uno dei punti più alti della sua pittura, preludendo, in un certo senso, ai quattro capolavori con i quali si conclude la sua attività: gli Amori di Giove (Danae, Leda e il cigno, Ganimede e l’aquila, Giove e Io) che il duca Federico II Gonzaga gli commissiona intorno agli anni Trenta del Cinquecento. Rientrato in patria, Correggio vi muore improvvisamente il 5 marzo 1534. Il giorno seguente viene sepolto in San Francesco a Correggio dove allora si poteva ammirare la sua prima impegnativa pala d’altare.

modif.: 27 Febbraio 2015 - Ufficio Stampa

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